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novembre 01, 2013

La scuola del nostro malcontento.

Quando lo scorso anno al Laurentino 38 è arrivato Vinicio Marchioni, Il Freddo di Romanzo Criminale, i ragazzi non credevano ai loro occhi. L’idolo della serie televisiva che ha raccontato le gesta della banda della Magliana era il volto scelto da Save the Children per presentare i risultati di un progetto contro la dispersione e l’abbandono scolastico nel quartiere. Testimonial dell’iniziativa, Marchioni ha esortato a non abbandonare gli studi. Ma più che per la saggezza dei suoi ammonimenti, ‘Il Freddo’ ha scatenato l’entusiasmo dei ragazzi per due motivi.

Il primo: i membri della banda sono icone venerate tra la gioventù del Laurentino. Il secondo: la Magliana è appena di là dal Tevere, a pochi minuti dai ‘ponti’ del degrado che hanno caratterizzato per anni l’urbanistica di questo quartiere-alveare. L’ammirazione incondizionata degli studenti disaffezionati – o tardivamente recuperati – alla scuola riflette una situazione emblematica in Italia: dispersione e abbandono scolastico si legano a doppio filo allo svantaggio sociale, geografico ed economico, e i suoi esiti sfociano spesso nella strada.

La scuola del nostro malcontento

Considerato la Scampia di Roma, 28mila abitanti in 6mila case, metà popolari, metà in cooperative, senza poste, né banche e trasporti efficienti, al Laurentino 38 il tasso di dispersione scolastica nell’età dell’obbligo è del 39 percento. L’analfabetismo del 3,5 percento, secondo una ricerca dei comitati di quartiere. Sono dati che raddoppiano quelli nazionali certificati dall’Istat, che vogliono quasi un quinto degli studenti italiani totalmente insofferenti alla scuola (nel 2010 hanno abbandonato in 809mila, il 18,8 percento), e una frazione di popolazione studentesca non quantificabile tra elementari e medie superiori ad alto ‘rischio dispersione’. Quest’ultima locuzione designa l’insuccesso scolastico nelle sue varie forme. Dalla parte dell’allievo si esprime attraverso bocciature, ripetenze, abbandoni, ed è frutto di scarso apprendimento, problematiche familiari e di relazione con il corpo docente o con il sistema scolastico nelle sue articolazioni più ingessate. Dalla parte della scuola, documenta il fallimento del sistema formativo di un Paese.

Perché questo accade? Le risposte sono molte, e provengono da molte voci. Sono quelle degli insegnanti, degli allievi, degli operatori sul campo, dei volontari, degli ‘esperti’. Le abbiamo raccolte e messe insieme non tanto per dare il quadro di una realtà complessa quanto evanescente, ma per aprire piccoli squarci in un mondo sommerso e a tratti completamente dimenticato.

La scuola del nostro malcontento1

Il Laurentino rappresenta, come i Quartieri Spagnoli a Napoli, lo Zen a Palermo e molti altri luoghi di periferia, un archetipo per comprendere le dinamiche della dispersione scolastica. Lo scorso anno, si è detto, sono piombati al settimo ponte gli idoli di Romanzo Criminale, come testimonial di Save The Children. Accanto alla conosciuta organizzazione umanitaria ha lavorato una meno nota associazione locale chiamata Pontedincontro. Sono loro che hanno svolto il grosso del lavoro ‘sul campo’. Terminato il progetto, Save the Children quest’anno si è spostata a Napoli. I ragazzi di Pontedincontro hanno invece continuato, come fanno da dieci anni, il loro quotidiano, faticoso e per molti versi invisibile lavoro nell’ambito del contrasto alla dispersione, del sostegno didattico, della consulenza e dellʼorientamento lavorativo attraverso attività sportive, laboratori artistici, attività ludiche e campi estivi. Tutte attività gratuite per gli utenti, pre-adolescenti e adolescenti in situazioni di disagio e a rischio di devianza. Grazie anche a loro, abbiamo dato voce e volto ai numeri delle statistiche.

La prima voce è quella di una professoressa, Daniela Consoni. E’ insegnante di sostegno nella scuola media inferiore Paola Sarro del Laurentino e ha un dottorato in Pedagogia sulla dispersione scolastica. A conoscerla ci ha portato una delle fondatrici di Pontedicontro, Sara Panucci. Daniela ci ha raccontato la distanza spesso incolmabile che corre tra la lingua della scuola e quella del mondo.

Sara lavora a stretto contatto con Danilo Morbidoni. Sono le due anime di questa piccola ma combattiva associazione che spesso supplisce alle carenze dei soggetti cosiddetti ‘formali’: la stessa scuola, i servizi sociali del Comune, i centri per l’impiego e via dicendo. Decine di docenti e centinaia di studenti di elementari, medie e superiori hanno preso parte negli anni a laboratori e attività di doposcuola che hanno prodotto un sensibile miglioramento dei rendimenti scolastici e delle relazioni allievo-docente. Pontedincontro ha ricavato la propria sede nel settimo ponte, cuore e simbolo architettonico del fallimento di una concezione urbanistica che si voleva moderna ed esemplare: i ponti avrebbero dovuto collegare, a mo’ di cavalcavia, i due condomini dai lati opposti della strada, diventando il fulcro della vita sociale del quartiere, con servizi, negozi, centri di aggregazione, uffici comunali. Si sono invece trasformati in ricettacolo di criminalità e spaccio. Alcui sono stati occupati. Altri demoliti. Una parentesi del lavoro di Pontedincontro è dedicata anche agli allievi con disturbi dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disgrafia).

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‘I ragazzi di Sara e Danilo’ hanno iniziato dapprima con diffidenza il percorso con l’associazione. Molti sono stati recuperati alla scuola. Altri l’hanno lasciata per il lavoro. Altri ancora sono rimasti ‘per strada’. Tutti custodiscono con affetto e riconoscenza i ricordi legati a Pontedincontro. Per ovvi motivi, questi ragazzi raccontano le loro esperienze in forma anonima.

Ma chi lascia la scuola non lo fa solo perché povero, svantaggiato, o proveniente da un ambiente familiare scarsamente istruito. A Firenze, il prossimo anno chiuderà i battenti una delle prime scuole serali di tutto il Paese: grazie all’Itis Leonardo Da Vinci sono rientrati nel circuito della formazione centinaia di allievi, spesso e soprattutto in età adulta. Stefania Miliani per trent’anni ha assistito all’evoluzione dei frequentanti: chi sono, e chi sono stati i ‘ragazzi delle serali’? Quali le necessità o le aspirazioni che li hanno spinti a tornare nel percorso di scolarizzazione, conquistando il diploma di scuola superiore?

Dalla Lettera a una professoressa di don Milani, 45 anni dopo, la realtà scolastica italiana non è mutata: “La scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde”, scriveva il sacerdote. A Barbiana, nel Mugello, la scuola di don Lorenzo Milani è ancora in piedi. Tutto è intattto, nella stanza un tempo destinata alle ‘lezioni’: i banchi, il mappamondo, le cartine geografiche ingiallite, gli strumenti didattici artigianali che i bambini hanno costruito negli anni, sotto gli occhi attenti e affettuosi del sacerdote-educatore e nel segno della sua filosofia improntata alla ‘scuola del fare’. Il custode è da trent’anni Giancarlo Carotti, ex-allievo di Don Milani. Ci ha raccontato del passato, e di un presente difficile.

“Barbiana deve tornare al centro dell’azione di riforma scolastica”: sono le parole del sottosegretario all’Istruzione, Marco Rossi Doria, nominato dal ministro Profumo pochi mesi fa, in un articolo scritto per La Stampa. Ex fondatore del progetto Chance con Cesare Moreno, ex maestro di strada nei Quartieri Spagnoli, Rossi Doria ha risposto alle nostre domande sull’azione del governo nella lotta all’abbandono e alla dispersione scolastica.

La scuola del nostro malcontento

Nel 2005, un rapporto del maggior esperto di analfabetismo italiano, il professor Saverio Avveduto (presidente Unla, Unione italiana per la lotta contro l’analfabetismo), ha individuato in 6 milioni il numero di italiani totalmente analfabeti. A fronte dei 3 milioni 699mila italiani che possiedono un dottorato di ricerca, una laurea o una laurea breve, sta l’enorme serbatoio di analfabeti, semianalfabeti o in possesso della sola licenza elementare: 22 milioni 529mila italiani su 58 milioni. Quasi il 40 percento della popolazione italiana.

Se parliamo di analfabetismo funzionale, ovvero di coloro che hanno difficoltà nella comprensione dei testi, nella scrittura e nelle operazioni di calcolo, l’Italia è agli ultimi posti in Europa, secondo le statistiche Osce. L’analfabetismo di ritorno affligge invece chi, uscito dal percorso dell’obbligo, perde le competenze acquisite. Solo il 20 percento della popolazione italiana, scriveva nel 2011 il linguista Tullio De Mauro, non incontra difficoltà come dislessia, disgrafia o discalculia.

Parlando degli studenti, il grido d’allarme degli insegnanti è unanime: “Non parlano più. Non ascoltano più. Non desiderano più”. Ma la verità è anche un’altra: spesso sono i docenti che non sanno più confrontarsi con i ‘nuovi allievi’ – sempre più vivaci, curiosi ma anche irrispettosi – sviluppando patologie raccolte sotto un nome: burn-out, ovvero il logoramento psicofisico legato all’insegnamento. Secondo uno studio dello psichiatra Vittorio Lodolo D’Oria, il 59 percento degli insegnanti si definisce “in apprensione” e il 13 percento “in grave stato ansioso”. Su tre insegnanti che si presentano in Commissione medica di verifica per la richiesta di inabilità al lavoro, due lo fanno per cause psichiatriche legate a un disagio professionale.

E spesso sono i politici a non saper ascoltare. Con otto milioni di euro, e l’esigenza di rispondere all’ansia valutativa degli organismi europei, che vogliono abbassare l’abbandono scolastico al dieci percento entro il 2020 (dopo aver fallito lo stesso obiettivo due anni fa), sono stati introdotti i famigerati test Invalsi: valutazioni da uno a dieci (ma senza il mezzo punto) per test spesso difficilissimi in italiano e matematica (e dal 2013 anche inglese). I test Invalsi sono difesi dal ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, che a riguardo ha detto: “La carenza di ‘cultura della valutazione’ di cui soffre il Paese ci sta penalizzando nei confronti internazionali”.

Ma è il risultato dell’ennesimo fallimento: numeri per valutare abilità; quiz e crocette per prove uguali su tutto il territorio nazionale, a prescindere dai contesti socio-culturali, dalla composizione delle classi, dai programmi, dai percorsi individuali, dagli alunni con disturbi dell’apprendimento.

La legge 133 del 6 agosto 2008 ha tagliato in quattro anni sette miliardi e 832 milioni di euro alle risorse destinate alla scuola. L’Italia investe il 4,8 percento del Pil in istruzione, al ventiduesimo posto in Europa. Il Piano Coesione di Monti ha recentemente destinato solo 77 milioni alla dispersione scolastica. Ma qual’è la ricetta per salvare la scuola? Gli esperti sanno che una risposta univoca non esiste, ma tutti concordano sul fatto che proprio gli studenti sono stati i grandi assenti nei vari progetti di riforma degli ultimi decenni, convitati di pietra a un tavolo che ciclicamente li ha esclusi dal confronto, dal dialogo, dalle scelte sul loro futuro.

Il responsabile del Servizio Orientamento Scolastico del Comune di Milano, Francesco Dell’Oro, è l’autore di un testo assai apprezzato nel mondo della formazione. ‘Cercasi scuola disperatamente’ (ed. Urra, Apogeo, aprile 2012) è la testimonianza non solo di un osservatore privilegiato del disagio giovanile, ma di uno tra i più attenti e sensibili conoscitori delle problematiche legate alla disaffezione scolastica. Abbiamo lasciato a lui l’ultima parola.

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