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dicembre 26, 2011

Le variazioni nelle condizioni climatiche delle regioni più settentrionali dipendono anche della presenza di roditori e di altri erbivori.
Le variazioni nelle condizioni climatiche delle regioni più settentrionali non dipendono unicamente dall’effetto serra e dal riscaldamento dell’atmosfera che questo comporta: una ricerca ha messo in evidenza come in questi ecosistemi la presenza di roditori e di altri erbivori abbia un inaspettato ruolo.

Resi famosi da un documentario del 1958 che ha diffuso il mito di una loro (falsa) tendenza a periodici suicidi di massa, i lemming potrebbero essere essenziali per il mantenimento e l’incremento della biomassa nelle regioni artiche in un momento in cui le difficoltà di sopravvivenza dell’attuale ecosistema della regione sta diventando sempre più evidente. A indicarlo è uno studio, pubblicato sulla rivista “Environmental Research Letters”.

Nelle aree in cui questi piccoli roditori non sono più presenti, si osserva infatti un aumento della vegetazione costituita da licheni e briofite, mentre quando ci sono si assiste a un sorprendente incremento della vegetazione a erba e carici, che rappresentano l’alimento principale dei lemming.

L'aumento della copertura a erba e carici – osservano i ricercatori – potrebbe essere legato a un aumento nella disponibilità di nutrienti nel suolo in seguito alle maggiori quantità di urina e feci dei lemming e/o a una riduzione della competizione per lo spazio, attraverso una riduzione di muschi e licheni e delle quantità di erba e carici morti sul suolo.

Storicamente le popolazioni di lemming hanno attraversato periodi di alti e bassi, che i ricercatori ritengono abbiano avuto un ruolo chiave nella regolazione di molte proprietà e dei processi dell’ecosistema a tundra. Per valutare questi effetti, hanno così misurato la copertura e la biomassa vegetale presente nell’arco di 50 anni in alcune aree protette in cui vivono questi roditori.

Le immagini satellitari hanno già confermato che le regioni artiche stanno diventando sempre più verdi, con presenza di erba e arbusti ma anche, come l'aumento delle temperature, con una progressiva maggiore presenza di altre piante. Quale sia l’effetto complessivo sul clima di questi cambiamenti, tuttavia, è ancora difficile da stabilire.

Le temperature più calde possono permettere alle piante, anche ad alto fusto, di crescere maggiormente e incamerare carbonio, prelevandolo dall’anidride carbonica dall'atmosfera e, potenzialmente, ridurre così il riscaldamento climatico. Però le temperature più elevate stimolano la decomposizione nel suolo, portando a un maggiore rilascio di carbonio da parte dei microrganismi che vi sono presenti, aumentando potenzialmente il riscaldamento climatico.

"Ancora non si conosce la grandezza relativa di questi due feedback al riscaldamento”, osserva David Johnson, dell’ Università del Texas a El Paso e primo autore dello studio. Un paesaggio più verde può far sì che la regione resti un ‘pozzo’ del carbonio, tuttavia la crescita delle piante superiori in un simile paesaggio potrebbe non essere sufficiente a compensare le perdite di carbonio dovute ai microbi del suolo. E’ plausibile che gli erbivori, in alcune situazioni, possano fornire un meccanismo che consenta la crescita delle piante superiori pur mantenendo questi ecosistemi come pozzi del carbonio.”

“Non stiamo dicendo che i lemming siano la causa del aumento del verde, che si riscontra anche in aree in cui i lemming non sono presenti con una alta densità. Tuttavia, è chiaro dal nostro studio che in alcuni di questi ecosistemi artici lemming e altri erbivori sono molto più importanti di quanto si sia storicamente ritenuto."

I lemming (in italiano lemmi, singolare lemmo) sono piccoli roditori artici, il cui habitat è normalmente il bioma tundra. Insieme alle arvicole, cui sono molto simili, ed ai topi muschiati, costituiscono la sottofamiglia Arvicolinae (o Microtinae), che fa parte del ramo dei mammiferi più ampio in assoluto, la superfamiglia Muroidea, che include anche ratti, topi, criceti e gerbilli. La maggior parte delle specie fa parte della tribù Lemmini, una delle tre che compone la sottofamiglia Arvicoline.


Sono erbivori, nutrendosi principalmente di foglie e germogli, Graminacee e Cyperacee in particolare, ma a volte anche di radici o bulbi. Come per molti altri roditori, i loro incisivi crescono continuamente, permettendo loro di sussistere su cibo assai più duro di quanto sarebbe altrimenti possibile.


I lemming non vanno in letargo durante i duri inverni nordici. Rimangono attivi, e trovano cibo scavando sotto la neve e nutrendosi di vegetali immagazzinati durante la bella stagione. Sono animali solitari, che si incontrano in natura soltanto per accoppiarsi, ma come tutti i roditori hanno un alto tasso di riproduzione e le popolazioni, in condizioni favorevoli, possono esplodere numericamente.

È nozione comune che i lemming commettano un suicidio di massa durante le migrazioni, ma questa opinione popolare non ha supporti scientifici. I lemming migrano spesso in gruppi numerosi, e di conseguenza molti di loro periscono per cause accidentali oppure per la pressione degli altri individui che può causarne la caduta in corsi d'acqua, dirupi, ecc. Il mito del suicidio di massa dei lemming sembra sia stato iniziato, in particolare, da un "documentario" del 1958 della Disney intitolato White Wilderness, che include varie scene di lemming che sembrano buttarsi da un'alta scogliera; scene tuttavia che sono state costruite ad arte in Manitoba [4]. Ancora antecedente è una storia, sempre della Disney e ideata da Carl Barks, intitolata in italiano Il lemming con il ciondolo e imperniata appunto sul mitico suicidio di massa dei lemmings. La storia fu pubblicata tra marzo e maggio del 1955.


Anche Primo Levi si basò su questo mito per scrivere il racconto Verso occidente, contenuto nella raccolta Vizio di forma del 1971.


A causa della loro associazione con questo bizzarro comportamento, il suicidio dei lemming è una metafora assai usata per riferirsi a persone che seguono acriticamente l'opinione più diffusa, con conseguenze pericolose o addirittura fatali. Questo è anche il tema del videogioco Lemmings, dove il giocatore istruisce le creature sotto il suo controllo affinché eseguano compiti a volte anche autodistruttivi, finché non riescono ad uscire dallo schema del gioco o soccombono.
fonte: Wikipedia

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dicembre 18, 2011

Eco-guida di Greenpeace: è HP la più verde di tutte
E' HP la più verde di tutti. Almeno secondo l'ultimo aggiornamento dell'Eco-guida di Greenpeace ai prodotti elettronici pubblicato ieri dall'associazione dei guerrieri dell'arcobaleno che ogni tre mesi valuta le più grandi aziende produttrici di hi-tech e il loro impegno nei confronti dell'ambiente con l'obiettivo di spingere "l’industria dell’elettronica a trovare soluzioni per la riduzione delle emissioni di gas serra a livello globale".

In questa ultima edizione della ricerca che valuta 15 aziende IT su tre parametri - politica energetica, eco-compatibilità dei prodotti, sostenibilità della filiera - troviamo diversi cambiamenti a partire dal vertice della classifica presidiato per due anni da Nokia che scivola al terzo posto per il suo poco utizzo di energie pulite. Probabilmente perché in questa eco-guida si è tenuto conto delle emissioni di gas serra prodotte dall'intera catena produttiva: non solo le materie prime utilizzate, quindi, ma anche la fase di recupero e smaltimento dei prodotti oltre che l'impegno nell'utilizzo di energia pulita proveniente da fonti rinnovabili.

«Molte aziende hanno già accettato di mettere al bando le sostanze chimiche più pericolose. Ora chiediamo loro di migliorare sul piano dell’approvvigionamento dei minerali necessari e di gestire i consumi energetici con criteri di maggiore efficienza lungo tutta la filiera» commenta Salvatore Barbera, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.

«HP arriva in testa alla classifica con ottime performance sulla misurazione e riduzione delle emissioni di CO2 nella scelta delle materie prime e nella produzione e sostenendo una legislazione più ambiziosa in materia di salvaguardia del clima.

Tuttavia ognuna delle aziende incluse nella nostra classifica mostra ampi margini di miglioramento su questi parametri e per ciascuna vi è l’opportunità di esprimere in futuro una reale leadership nel contenere gli impatti sul clima» conclude Barbera.

Altra novità di questa eco-guida, la presenza per la prima volta della Research in Motion (RIM), azienda produttrice dei telefoni BlackBerry che si attesta però in fondo alla classifica a causa, soprattutto "dell’incompletezza e poca trasparenza nella documentazione delle sue performance ambientali".

Ed Apple? Soprattutto dopo gli scandali nelle fabbriche cinesi e dopo la morte di Steve Jobs ci siamo interrogati sulla reale sostenibilità della mela che si piazza comunque al quarto posto della classifica grazie alle sue strategie di recupero dei rifiuti elettronici, l'utilizzo di materiali non tossici e sostenibilità della filiera dopo che ha pubblicato la lista dei suoi fornitori. Potrebbe ulteriormente migliorare sul fronte delle politiche energetiche anche se, come abbiamo visto, comincia a lavorarci investendo nel fotovoltaico e nell'idrogeno.

Perché le aziende dell’IT possano fare davvero da apripista al cambiamento, "riducendo i propri consumi energetici e utilizzando il loro peso industriale a sostegno di una legislazione più ambiziosa in materia di energia verde". Chi sarà la prima a diventare veramente verde?

Greenpeace è un'organizzazione non governativa ambientalista e pacifista fondata a Vancouver nel 1971. È famosa per la sua azione diretta e non violenta per la difesa del clima, delle balene, dell'interruzione dei test nucleari e dell'ambiente in generale. Negli ultimi anni l'attività dell'organizzazione si è rivolta ad altre questioni ambientali come il riscaldamento globale, l'ingegneria genetica e la pesca a strascico. Greenpeace ha uffici nazionali e regionali in 41 paesi, tutti affiliati con Greenpeace International, con sede ad Amsterdam. L'organizzazione è finanziata tramite contributi individuali da parte di circa 2,8 milioni donatori e fondazioni non profit, ma non accetta fondi da governi o grandi aziende.


Greenpeace basa la propria testimonianza su:


  • azione diretta e non violenta manifestando direttamente in luoghi ritenuti importanti per i messaggi che vuole trasmettere, ma senza l'uso della forza in parte rifacendosi alle teorie di Mahatma Gandhi
  • scientificità in quanto ogni dossier, report o altra documentazione sono basati su una precedente ricerca scientifica commissionata in maniera indipendente
  • indipendenza in quanto non riceve cospicui sostegni in denaro da nessun ente governativo o multinazionale privata per evitare possibili manipolazioni dei risultati scientifici o delle attività intraprese.


Col passare del tempo Greenpeace migliora la propria tecnica di manifestare introducendo nel proprio modus operandi la presenza costante di giornalisti e fotoreporter per documentare le azioni dirette e non violente, l'utilizzo di gommoni per spostamenti molto più mirati ed efficaci (spunto preso grazie ai marinai francesi negli episodi legati ai test nucleari di Moruroa) e la formazione di equipaggi misti.


Uffici nazionali.

Argentina, Australia, Austria, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Cina, Repubblica Ceca, Congo, Danimarca, Figi, Finlandia, Francia, Korea, Germania, Grecia, Ungheria, India, Israele, Italia, Indonesia, Giappone, Libano, Lussemburgo, Malta, Messico, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Papua Nuova Guinea, Filippine, Polonia, Romania, Russia, Senegal, Slovacchia, Spagna, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Thailandia, Taiwan, Turchia, Regno Unito, USA.
fonte: Wikipedia


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dicembre 09, 2011

Inti Illimani, il gruppo che in Italia ha venduto quanto i Pink Floyd si racconta, tra passato e presente.
Il docufilm "Dove cantano le nuvole": il gruppo che in Italia ha venduto quanto i Pink Floyd si racconta, tra passato e presente. "Sapemmo del golpe mentre visitavamo la Cupola di San Pietro, il nostro progetto musicale non finirà mai". Però restano prigionieri di "El Pueblo unido"

Jorge Coulon, il leader del gruppo, lo ricorda con un sorriso, quasi en passant: "In Italia, negli anni Settanta, abbiamo venduto più dischi dei Pink Floyd". E gli Inti-Illimani, davvero, sono stati la bandiera di una generazione. L'amore per la loro musica ha accumunato padri e figli, fratelli maggiori e minori.

Le parole della loro canzone simbolo emozionano ancora chi ha vissuto - magari indirettamente, da osservatore appassionato - la lotta per la libertà di un popolo oppresso. Ma loro non vogliono essere una sorta di figurina sbiadita nell'album di famiglia della sinistra, una band quasi da museo: sono  artisti che girano il mondo, che hanno voglia di suonare, di confrontarsi col pubblico. Anche adesso: un po' come dei Buena Vista Social Club in salsa cilena.

IMMAGINI 1- TRAILER 2 - "EL PUEBLO UNIDO" CANTATA CON DANIELE SILVESTRI 3


La novità è che ora, a celebrare la loro avventura, arriva un docufilm girato da due registi italiani, Francesco Cordio e Paolo Pagnoncelli: si chiama Inti-Illimani - Dove cantano le nuvole, e uscirà - il 25 novembre - in alcune delle 260 sale italiane associate al circuito indipendente (cineclub, circoli, associazioni).

L'anteprima, oggi pomeriggio, alla Casa del cinema di Roma: settantanove minuti di musica, parole e politica, in cui lo storico gruppo - a cominciare dal leader Jorge Coulon - si racconta in prima persona. Rievocando le battaglie del passato, ma anche sottolineando la loro capacità di rinnovarsi. Un viaggio, il loro, che si chiude con l'incontro con Daniele Silvestri in veste di musicista-fan, culminato in un concerto-evento. "Difficile - spiega il cantautore italiano - dire il perché nel 2001 abbia sentito il bisogno di 'rubare' alcune delle loro note più belle per costruire la base di quello che sarebbe diventato uno dei miei pezzi più importanti, Il mio nemico. Ma la loro è la storia di un sogno nato per indicare una strada, recuperare un'identità e dare una speranza".

Una storia drammatica, appassionante. E' vera, ma sembra un film. Il gruppo, che si forma all'Università di Santiago del Cile nel 1967, si trova in tour proprio in Italia, nell'ambito di una serie di scambi tra l'Europa e il paese democratico guidato da Salvador Allende, quando, l'11 settembre 1973, il golpe militare di Augusto Pinochet instaura la più feroce dittatura militare dell'America Latina. "Eravamo in visita alla Cupola di San Pietro, quando abbiamo saputo la notizia".

La band, qui da noi, ottiene asilo politico, viene di fatto "adottata" dal Pci e in quegli anni - in concerti di piazza memorabili, a Feste dell'Unità con partecipazioni oceaniche e in altre occasioni - tiene alta l'attenzione sulla tregedia del Cile. Il loro brano più celebre, El pueblo unido jamas serà vencido, diventa un inno di libertà, un canto universale. Poi però, con l'arrivo del decennio reaganiano, la loro fama si appanna. Fino al ritorno in Cile: è il 1988, e a sorpresa un referendum dice no a Pinochet. Il film fa vedere le immagini, emozionanti, del loro arrivo in patria: all'aeroporto c'erano 50 mila persone, a cantare il loro brano Vuelvo.

Ma la storia del gruppo non finisce qui. Alcuni membri lasciano, altri, giovanissimi, entrano. Si cercano nuove strade musicali, più sperimentali, anche se sempre nel solco della musica popolare andina. C'è stata perfino una scissione, tra un gruppo "storico" e uno "nuovo". La pellicola, però, di questo non parla. Si concentra sui "nuovi", sempre con Jorge Coulon: "Il nostro progetto non finirà mai - dice nel film - pure fra trent'anni: io non ci sarò, ma l'idea Inti-Illimani resterà.

Perché tutto vogliamo, tranne che essere una bandiera, uno stendardo: vogliamo essere un gruppo che vive la nostra musica". E infatti uno dei componenti aggregati negli ultimi anni, a un certo punto, si lamenta: "Dovunque andiamo nel mondo ci conoscono, ma ci chiedono sempre e solo El pueblo unido...".
Gli Inti-Illimani sono un gruppo vocale e strumentale cileno nato nell'ambito del movimento della Nueva Canción Chilena e tuttora attivo.

Il nome è composto da due parole: Inti (parola Quechua che significa sole) ed Illimani (nome Aymara di una cima della catena delle Ande). Costretti all'esilio in conseguenza del golpe cileno del 1973, sono rientrati in patria nel 1988 dove hanno proseguito l'attività musicale anche attraverso un rinnovamento nel repertorio e nella composizione del gruppo stesso.

Il gruppo si forma nel 1967, all'interno dell'Università Tecnica di Santiago del Cile, con un continuo avvicendarsi di elementi al suo interno nei primi anni. Dopo le tournée in Sud America, arriva nel 1973 la prima in Europa, durante la quale gli Inti Illimani divengono esuli forzati a causa del colpo di stato di Augusto Pinochet. L'esilio in Italia, dove ai membri del gruppo venne riconosciuto il diritto di asilo politico, durerà dal 1973 al 1988. In questo lungo arco di tempo, i musicisti vivono inizialmente a Genzano di Roma per poi stabilirsi nella capitale, da dove appoggeranno le campagne per la restaurazione della democrazia nel paese d'origine.


Nel 1973, quando il gruppo è in tournée in Italia, dunque al momento del colpo di Stato in Cile, la formazione è la seguente:


Max Berrù
José Miguel Camus
Jorge Coulon
Horacio Duran
Horacio Salinas
José Seves


Tale formazione rimarrà stabile fino al 1978, anno in cui, dopo l'uscita di José Miguel Camus, rientra definitivamente Marcelo Coulon, fratello minore di Jorge, che del gruppo aveva fatto parte per un breve periodo, durante il 1970. Il 1984 vedrà l'inserimento di Renato Freyggang (negli Inti fino al 1994), e la conseguente creazione di una line-up a sette elementi, a tutt'oggi la più longeva nella storia del gruppo. Da ricordare l'apporto del venezuelano Jorge Ball, che farà parte del gruppo per circa due anni, tra il 1982 e il 1984 e successivamente, a tappe alterne, in altri periodi temporali. Nel 1995 il gruppo ha reclutato Pedro Villagra, che rimarrà in formazione per i quattro anni successivi, e il cubano Efren Viera, che diverrà un altro elemento stabile, assieme a Daniel Cantillana (entrato negli Inti nel 1998). Ultimo componente entrato a tutt'oggi (dal 2005) è Cèsar Jara.

Tra il 1998 ed il 2004, in tempi e circostanze diverse, sono usciti dal gruppo tre componenti (José Seves, che rientrerà in formazione per un breve periodo successivo; Horacio Salinas, e da ultimo Horacio Duran). Vengono rimpiazzati da Manuel Meriño (già nel gruppo degli Entrama), Christián González e Juan Flores (già con gli Illapu).


Nel 2004 Horacio Duran, con Salinas e Seves, forma, un po' a sorpresa, un nuovo gruppo, denominato Inti-Illimani Histórico. Data l'importanza dei componenti fuoriusciti, si pone la questione, anche in sede giudiziaria, in merito a chi ha il diritto a mantenere il nome e il marchio Inti-Illimani, che nel frattempo si è costituito anche come società artistica. Il problema, tuttora in corso, non impedisce alle due formazioni di proseguire normalemete le rispettive attività; a ogni modo, dal 2005 il famoso logo del gruppo è di fatto rappresentato come Inti-Illimani ®.


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dicembre 02, 2011

Le problematiche legate al rischio idrogeologico e le regioni esposte al rischio inondazione.
Le problematiche legate al rischio idrogeologico si presentano frequentemente e violentemente, come dimostrano gli eventi che in questi giorni hanno sconvolto vaste zone del territorio nazionale, causando pesanti danni e lutti. Ma questi problemi non sono una novità dei nostri giorni. Lo provano i dati raccolti dall'Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpii) del Cnr di Perugia nel catalogo degli eventi di frane e inondazione con vittime, che copre l'arco temporale tra il 68 d.C. e il 2010.

"È un documento unico per la sua estensione di 1941 anni, compilato analizzando fonti archivistiche, scientifiche e cronachistiche", afferma Fausto Guzzetti, direttore dell'Irpi-Cnr. "Oltre che per conoscere le dinamiche degli eventi passati, queste informazioni sono utili per cercare di prevedere e mitigare gli effetti di quelli futuri".

Uno dei contributi fornito dai dati è la definizione dei livelli di rischio da frana e da inondazione a livello territoriale. "Il rischio sociale o collettivo, cioè quello che riguarda la comunità, è misurabile tramite la frequenza e l'intensità degli eventi dati e attraverso il numero di morti, dispersi e feriti provocati", spiega Paola Salvati, ricercatrice dell'Istituto. "Dall'analisi del periodo più recente, fra il 1960 e il 2010, emerge che in Italia sono state almeno 5.300 le vittime per frane registrate e quasi 1.700 quelle provocate da inondazioni".

In questi cinquant'anni tutte le regioni italiane hanno subito morti, dispersi o feriti. A detenere il triste primato sono Veneto e Trentino-Alto Adige, colpite da due eventi con effetti pesantissimi: rispettivamente, la frana sulla diga del Vajont del 1963, con oltre 1.900 vittime, e la colata di fango sull'abitato di Stava provocata dal cedimento dei bacini della miniera sovrastante, che determonò 268 morti.

Prescindendo da questi due casi, di evidente natura antropica, il rischio sociale da frana "è stato particolarmente alto in Campania (800 vittime in 215 eventi), Lombardia (257 in 80), Piemonte (200 vittime in 87 eventi) ed Emilia-Romagna (132 in 5 eventi)", prosegue la ricercatrice dell'Irpi-Cnr. "Le popolazioni meno colpite sono quelle di Abruzzo (13 vittime in 11 eventi), Molise (7 vittime in 3 eventi), Puglia (38 vittime in 10 eventi), e Umbria (39 vittime in 18 eventi)".

Fra le regioni esposte al rischio inondazione, tra quelle che hanno registrato il maggior numero di vittime, sono in testa la Toscana con 446 vittime in 54 eventi, il Piemonte (231 vittime in 74 eventi), la Campania (177 vittime in 59 eventi), la Liguria (89 vittime in 34 eventi) e la Sicilia (167 vittime in 61 eventi). Rischio più basso per Umbria (17 vittime in 8 eventi) e Basilicata (37 vittime in 10 eventi).



Gli elevati livelli di rischio in regioni così distanti e diverse ha varie ragioni. "In Campania", evidenzia Salvati, "si verificano frane superficiali, colate di detrito o fango in aree dove depositi di ceneri vulcaniche ricoprono rocce carbonatiche affioranti su ripidi pendii, ad esempio nelle zone circostanti il Vesuvio. Quando piogge di breve durata ed elevata intensità colpiscono queste aree producono piene improvvise e innescano grandi e diffusi movimenti di terra.

Per le zone montuose del Nord, l'elevato rischio è legato invece alla combinazione di più tipologie di frane veloci: i frequenti rilievi montuosi e i potenti affioramenti di rocce favoriscono crolli, scivolamenti e valanghe di roccia, tipologie di frane molto pericolose per la loro alta velocità. Il Settentrione comprende inoltre due tra i più ampi bacini idrografici italiani, il Po e l'Adige, dove le inondazioni sono molto frequenti. In Piemonte gli eventi avvengono principalmente lungo i fiumi maggiori, mentre in Liguria, Sicilia e Toscana lungo aste torrentizie corte e molto ripide, prospicienti le zone litoranee".


"Di fronte alle ultime catastrofi, è necessario avviare con urgenza un'attenta pianificazione del territorio, in particolare per gli interventi edilizi e i disboscamenti che contribuiscono ad aggravare il dissesto idrogeologico", conclude Guzzetti. "Occorre inoltre un adeguato sistema di previsione e prevenzione per la mitigazione del rischio. È un investimento importante per la difesa delle vite umane e dell'ambiente".


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novembre 21, 2011

Internet è già roba da museo: la grande Rete è nata 42 anni fa.
Inaugurato a Los Angeles il primo spazio dedicato alla storia della grande Rete. Nata 42 anni fa, un sabato, alle 22,30: «Quando», racconta il professor Leonard Kleinrock, «scrissi con il mio mega computer la lettera 'l' e al telefono mi risposero che era arrivata»

Il 29 ottobre di quarantadue anni fa era un sabato. E alle 22,30, ora di Los Angeles, il professor Leonard Kleinrock, insieme a un assistente, tenta il primo collegamento fra un computer della Boelter Hall dell'Università della California Los Angeles (Ucla) ed uno dell'Istituto di ricerca di Stanford.

I nodi sono solamente due, ma promettono di crescere: la novità è che i rispettivi minicomputer sono collegati a una nuova macchina, battezzata Imp, che svolge il lavoro di smistare pacchetti di dati a un numero potenzialmente infinito di altri utenti. «Nel frattempo ci parlavamo per telefono», racconta oggi Kleinrock. «Io dovevo scrivere 'login'. Scrissi la lettera elle. 'Ricevuta', mi dissero. Poi la o. "Ricevuta". Quando digitai la terza lettera, il sistema andò in crash».

Un primo fallimento sì. Ma quel sabato infatti nasceva Arpanet. Quella che poi si sarebbe chiamata Internet. Il futuro era arrivato.

Oggi per festeggiare quel passato, neppure poi così lontano, è stato inaugurato al numero 420 di Westwood Plaza di Los Angeles il Kleinrock Internet Heritage Site and Archive (KIHSA), il museo dedicato alla storia del web.


Lo spazio è intitolato a Leonard Kleinrock, il professore di Ucla che spedì il messaggio a Bill Duval di Stanford. Nel museo, che avrà anche il compito di archivio storico di Internet, saranno in esposizione i documenti originali e i macchinari che servirono per spedire i primi messaggi e sviluppare il complesso (teorico e pratico) che sta alla base del World Wide Web.

Strumentazioni che oggi sembrano appartenere alla preistoria, ma dai quali invece ci separano solo una quarantina d'anni. «No, lo ammetto, non avrei mai potuto immaginare che Arpanet sarebbe andata così lontano», spiega il settantacinquenne professore dell'Ucla. «A quei tempi, nessuno pensava al computer come a uno strumento di comunicazione. Il pc, come lo intendiamo oggi non esisteva, i computer erano grandi e costosi. L'e-mail sarebbe arrivata solo due anni dopo, diventando subito l'applicazione più usata sulla rete».


E se gli si chiede del futuro, prossimo, lui che ha messo le basi per crearne già uno, in nostro: «Un giorno non lontano, la maggior parte del traffico internet non sarà fatto dagli esseri umani, ma dalle macchine. Le capacità di calcolo e di comunicazione stanno dilagando: sensori, attuatori, memorie, display, microfoni. Tutto quanto ci circonda sarà collegato in rete, per dare informazioni e servizi sulla realtà circostante.

Potremo controllare a distanza la crescita delle piante, la popolazione ittica di un fiume. Un sistema cooperativo di strumenti che radunano le informazioni e ordinano ad altri strumenti di mantenere l'equilibrio. Tutto questo è già alla portata della nostra tecnologia. E sta accadendo».


Intanto non resta che aspettare un altro compleanno, il prossimo 13 novembre: quello del World Wide Web, meglio conosciuto come WWW, che compie 20 anni. Nato infatti nel 1991 da un progetto del CERN (Centro Europeo di Ricerca Nucleare) di Ginevra, oltre ai dati testuali, ha reso possibile la trasmissione su Internet anche di immagini, video, suoni e multimedia in generale. Creando quel mondo virtuale, così come lo intendiamo noi oggi. I nostri auguri ad entrambi allora.

E non resta che dare una sbirciata (sempre che non si riesca a fare un salto di persona a Los Angeles) alle foto in bianco e nero e a quei vecchi macchinari, pensando che sia un po' come guardare un vecchio album di famiglia. Perché Internet è un po' la storia di tutti noi.

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novembre 19, 2011

Grazie al contributo fiscale lo Stato italiano versa più di un miliardo l'anno per pagare gli stipendi dei preti
Grazie al contributo fiscale lo Stato italiano versa più di un miliardo l'anno per pagare gli stipendi dei preti. Per i quali però bastano 361 milioni. E le altre centinaia? In un'inchiesta, tutta la verità su business e privilegi del Vaticano. Ecco un'anticipazione

Trentunomila e 478 euro virgola qualcosa. E' la somma che lo Stato, quindi l'intera platea dei contribuenti, ha versato nel 2010 per il mantenimento di ognuno dei 33 mila e 896 sacerdoti in servizio attivo nelle diocesi del Paese.

Il totale fa un miliardo e 67 milioni di euro, l'importo del cosiddetto 8 per mille (salito nel 2011 a un miliardo, 118 milioni, 677 mila, 543 euro e 49 centesimi). E l'assegno l'ha incassato la Chiesa, attraverso la Conferenza episcopale. Che poi a ciascuno di quei preti ha girato direttamente solo 10.541 euro, un terzo di quanto ha stipato nei propri forzieri.

L'espressione è un po' forte, ma i numeri sono numeri: e dicono che i vescovi fanno la cresta sullo stipendio dei loro sottoposti.

Wojtyla, si sa, non amava granché Agostino Casaroli. Considerava il suo segretario di Stato troppo amico dei regimi comunisti dell'Est. Quasi un propagandista. E per questo si scontrava spesso con lui. Invece avrebbe dovuto fargli un monumento equestre. Perché la revisione del Concordato che Casaroli trattò con l'allora premier italiano, Bettino Craxi (in sostituzione della "congrua", il salario di Stato garantito ai parroci), è stata di gran lunga il miglior affare che la Chiesa abbia portato a casa nella sua storia più recente.

Funziona così. Un po' come in un gigantesco sondaggio d'opinione, ogni anno i contribuenti, mettendo una croce sull'apposita casella nella dichiarazione dei redditi, possono indicare come beneficiaria dell'8 per mille una delle confessioni firmatarie dell'intesa con lo Stato (o scegliere invece quest'ultimo).

Sulla base delle indicazioni effettivamente raccolte, viene poi diviso in percentuale non il solo ammontare versato da quanti hanno espresso una preferenza (il 40 per cento circa del totale), ma l'intero montepremi.

Al gruzzolo concorrono, cioè, anche i versamenti all'erario di coloro che, maggioranza assoluta, non hanno barrato un accidenti (quattrini che nella cattolicissima Spagna restano invece allo Stato). O che magari non hanno neanche mai sentito parlare del trappolone a suo tempo confezionato da Giulio Tremonti nelle vesti di consulente del governo. Il meccanismo, guarda caso, sembra ricalcato da quello scelto dai partiti per i rimborsi elettorali garantiti dal finanziamento pubblico. Il risultato dell'arzigogolo è facilmente intuibile.

Anche perché perdere una sfida con lo Stato italiano davanti a una giuria popolare è matematicamente impossibile. Tanto più se lo stesso sedicente avversario ha stabilito regole che lo penalizzano in partenza. E ancor più se durante la gara cammina invece che correre (la Chiesa si affida a un gigante mondiale come la Saatchi & Saatchi per una martellante campagna pubblicitaria costata nel 2005 qualcosa come 9 milioni di euro, il triplo di quanto donato dai preti alle vittime dello tsunami; lo Stato risulta non pervenuto). Ma il vantaggio per la Chiesa va perfino al di là di quanto si possa intuire.

Per quantificarlo bisogna necessariamente affidarsi a dati un po' vecchiotti, per il semplice motivo che il ministero dell'Economia fornisce le statistiche sulle scelte effettive dei contribuenti solo alle confessioni religiose ammesse al beneficio. Non è però un problema, dal momento che le percentuali variano in maniera quasi impercettibile tra un anno e l'altro. Dunque: nel 2004 la Chiesa è stata scelta da una minoranza pari al 34,56 per cento dei contribuenti italiani. Ma lo stesso dato, calcolato invece sulla sola platea di quanti hanno ritenuto di dare un'indicazione sull'8 per mille, l'ha fatta schizzare di colpo, e miracolosamente, a una schiacciante maggioranza dell'87,25. Ed è quest'ultima la percentuale utilizzata per ripartire l'intera torta. Che è destinata inevitabilmente a crescere. Il suo valore, infatti, si aggancia ora alla variazione del Pil, cioè alla crescita economica, ora all'aumento della pressione fiscale. Quando non ai due elementi insieme.

Questo garantisce alla Chiesa di incassare sempre più quattrini, a prescindere dal consenso racimolato. E perfino quando questo scende in maniera vistosa. E' successo, per esempio, nelle dichiarazioni dei redditi del 2007 (incassate nel 2010: c'è uno sfasamento temporale di tre anni). Quell'anno, forse sulla scia dello scandalo pedofilia, il numero dei contribuenti che ha indicato come beneficiari Ratzinger & C. si è ridotto, secondo i calcoli degli stessi vescovi, di 95.104 unità.
fonte: L'Espresso


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Sommersi dalle foto digitali: un milione di fotografie, stampate e poi 'versate' tutte in un solo ambiente.
Un milione di fotografie, stampate e poi 'versate' tutte in un solo ambiente.

Sono una valanga, un'onda gigantesca. 'Photography in abundance' è l'installazione realizzata dall'artista Erik Kessels al Foam di Amsterdam.

Kessels ha scaricato tutte le immagini uploadate solo sulla piattaforma di condivisione Flickr in appena 24 ore.

Un'operazione che riavvolge il nastro e restituisce alla fotografia lo spazio fisico che ha progressivamente abbandonato negli ultimi anni dopo l'avvento del digitale.

Il risultato è un portfolio globale e caotico, immagini disposte disordinatamente, sul pavimento e ammucchiate, in mezzo alle quali si può davvero nuotare come un Paperon de' Paperoni nel suo deposito.

E questa esposizione rappresenta solo una frazione del volume che occuperebbero tutte le foto caricate ogni giorno in tutto il mondo. 'Photography in abundance' fa parte delle installazioni di 'What's next?', l'esposizione tematica sul futuro della fotografia che affronta diversi temi: 'Fotografia come immagine', 'Fotografia e multimedia' e 'Fotografia come oggetto'.


Allestita al museo del Foam di Amsterdam, per celebrare il decennale della sua fondazione, la mostra sarà aperta al pubblico fino al 7 dicembre 2011.


L'interno è un mix di caratteristiche architettoniche originali e di moderni cromati e vetro che forniscono un ambiente artistico. Il museo ruota la sua mostra a intervalli regolari (ogni 2-4 mesi) per dare al pubblico la possibilità di visualizzare il lavoro sia da artisti di fama mondiale up-and-talenti a venire.

I Musei rappresentano una delle principali attrazioni turistiche. I più noti sono sicuramente Van Gogh Museum, Rijksmuseum e Stedelijk Museum.

Ma la scelta è ampia, più di 50 musei che ogni anno attraggono milioni di visitatori accontentando i più svariati interessi. Accanto ai capolavori del Secolo d’Oro e dell’arte moderna e contemporanea troviamo cinema, teatro, fotografia, storia e musei ‘tipicamente Olandesi’ come ad esempio lo Scheepvaart Museum (con una replica di un veliero mercantile settecentesco ancorato all’esterno e visitabile) e l’Houseboat Museum.

Molti musei posseggono sezioni didattiche per i bambini, i quali apprezzeranno molto anche la visita all’appariscente NEMO (Museo di Scienza e Tecnologia ospitato in un moderno edificio verde a forma di nave).


Il modo più economico per visitare i Musei olandesi: Museumkaart
Esistono vari pass che vanno dal giornaliero al settimanale per l’ingresso a più musei convenzionati; a chi ha invece intenzione di visitare molti musei, e non solo ad Amsterdam, consigliamo l’acquisto della Museumkaart (Carta dei Musei).

La card ha validità annuale e consente l’ingresso (ogni volta che lo si desidera) in più di 400 Musei in tutta l’Olanda e il costo (inclusa la commissione) si aggira intorno ai 40 Euro, è nominale e non è cedibile. Può essere acquistata dietro compilazione di un modulo in alcuni musei (Allard Pierson Museum, Amsterdams Historisch Museum, Hermitage Amsterdam, etc) e all’UIT Buro in Leidseplein.



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novembre 18, 2011

Spariti i soldi per la ricerca italiana.
Ogni anno l'agenzia del farmaco riceve cospicui fondi per finanziare gli studi indipendenti, cioè non legati a Big Pharma. Quelli del 2010, però, non si sa dove siano finiti.

L'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) è un organismo previsto da una legge dello Stato, e che risponde al governo. Ogni anni questa Aifa incassa dalle aziende farmaceutiche un mucchio di quattrini che per legge devono essere destinati alla ricerca indipendente (medica e famacologicoa). L'ultimo bando in merito però è relativo ai fondi del 2009.

E i fondi arrivati dopo, dove sono finiti? E qual è l'ammontare della cifra del 2010, di cui non si sa nulla? Abbiamo girato queste domande all'Agenzia governativa venerdì 7 ottobre, più di due settimane fa. Ma l'Aifa non ha ritenuto di rispondere, limitandosi a questa dichiarazione: «Le notizie che trovate nel nostro sito internet sono aggiornate».

Andiamo a leggerlo, dunque. «La ricerca è finanziata dal contributo pari al 5 per cento delle spese promozionali, versato dalle Aziende farmaceutiche come previsto dalla legge istitutiva dell'Aifa (l. 326/2003)», scrive l'Agenzia. E ancora: «Il fondo così costituito viene destinato alla realizzazione di ricerche sull'uso dei farmaci e in particolare di sperimentazioni cliniche comparative tra medicinali, tesi a dimostrarne il valore terapeutico aggiunto, nonché a sperimentazioni su farmaci orfani e malattie rare».

Insomma, il programma è di quelli davvero utili. Tanto che la stessa Agenzia prevede che questo meccanismo funzioni come un orologio. Leggiamo ancora dal sito: «Ogni anno viene predisposto un bando, rivolto alle strutture del Ssn, agli Istituti di ricerca, alle Università e alle associazioni non profit sulle tematiche considerate prioritarie». Parole al vento, a quanto pare.

Un top manager di una grossa farmaceutica italiana, che chiede l'anonimato, conferma che ogni anno le società del settore versano il 5 per cento delle spese sostenute per la promozione nei confronti di dottori e farmacisti. Ma si dice «sorpreso» di questo pesante ritardo nella pubblicazione del bando.
Si tratta di un'altra mazzata alla ricerca indipendente, già schiacciata dagli alti costi aggiuntivi imposti da una norma che ha fatto felici solo le compagnie d'assicurazione (leggi). Considerando i dati relativi agli studi oncologici "randomizzati", quelli che si occupano soprattutto di fare confronti tra l'efficacia di due farmaci, per esempio, si nota che tra il 2003 e il 2010 si è passati da circa il 50 per cento di ricerche indipendenti ad appena il 30 per cento (fonte: Osservatorio nazionale delle sperimentazioni cliniche).

La situazione è «molto difficile», come ammette Marco Venturini, neopresidente dell'Associazione italiana di oncologia medica. Secondo Venturini, infatti, «se Aifa, organizzazioni di gruppi di ricercatori e istituti non si coordinano tra loro e se i finanziamenti dell'Agenzia non tornano a essere disponibili in tempi rapidi, la ricerca clinica indipendente in Italia rischia di bloccarsi completamente».

In particolare, il medico spiega che a essere a rischio sono gli studi "esplicativi", quelli cercano di scoprire come utilizzare al meglio una medicina, su quali gruppi di pazienti ha una maggiore efficacia e altri "affinamenti" che possono fare poi la differenza tra una terapia riuscita pienamente e una con qualche difficoltà in più. Questi aspetti, infatti, sono indagati per lo più dagli studi spontanei, mentre quelli condotti dall'industria farmaceutica di solito sono di tipo "registrativo", mirati cioè a consentire la registrazione, e quindi la commercializzazione, di un farmaco.

La promozione della ricerca indipendente rappresenta uno degli obiettivi strategici attribuiti all'Agenzia Italiana del Farmaco. E' finalizzata a promuovere la produzione di conoscenze in grado di fornire risposte rilevanti per la salute dei cittadini e per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in aree che, nell'attuale organizzazione della ricerca sui farmaci, appaiono destinate a rimanere marginali o di scarso interesse commerciale. L'AIFA si pone quindi il compito di promuovere programmi di ricerca e di finanziare studi clinici sperimentali e osservazionali.

La ricerca si rivolge a tutti i ricercatori impegnati nelle strutture pubbliche e non profit. Fra le ricadute attese della ricerca indipendente vi è non solo la produzione di nuove conoscenze ma anche un'occasione di formazione permanente e di miglioramento nella pratica clinica e assistenziale dei centri coinvolti.
Attraverso la promozione di un’informazione indipendente l’AIFA intende favorire un impiego sicuro ed appropriato dei medicinali; orientando le scelte terapeutiche sulla base delle evidenze scientifiche più accreditate e trasferendo adeguata conoscenza sul farmaco in generale, a tutela e interesse dei pazienti. L’intento è quello di connotarsi quale principale fonte autorevole di notizie e aggiornamenti in materia farmaceutica, sia per quanto attiene le attività più strettamente regolatorie, sia per la promozione di una nuova cultura del farmaco, basata sull’etica e la trasparenza.

Tra gli strumenti di informazione scientifica che l’AIFA mette a disposizione degli operatori sanitari vi è la  rivista di farmacovigilanza Reazioni e ad altre numerose Pubblicazioni, che testimoniano l’impegno dell’Agenzia nella gestione di un’intensa attività editoriale.

Destinato agli operatori sanitari è inoltre l’elenco completo delle note limitative prodotte dall’AIFA per la definizione degli ambiti di rimborsabilità di alcuni medicinali e per il governo della spesa farmaceutica.

Infine, l’AIFA gestisce il Servizio di Informazione sul Farmaco attraverso un numero verde dedicato al pubblico e agli operatori sanitari per quesiti su efficacia, sicurezza e disponibilità dei medicinali.

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fonte: L'Espresso

novembre 17, 2011

Musica digitale, più 1000 %, sviluppo esponenziale. Google sfida Apple.
I dati Ifpi a livello mondiale confermano lo sviluppo esponenziale. In 7 anni, nate 400 piattaforme che vendono musica on line. In Italia, nel 2011, l'incremento è stato del 23 % con un fatturato di quasi 19 milioni di euro

Sono trascorsi 7 anni da quando iTunes sbarcò in Italia gettando di fatto le basi per lo sviluppo di "un mercato musicale liquido sino a quel momento inesistente, in termini di fatturato e di offerta digitale legale.

In questi ultimi anni il nostro Paese ha fatto passi importanti per proporre modelli di business sostenibili e soprattutto rispondenti alle esigenze di un consumatore sempre più tecnologico ed esigente".

Secondo i dati Ifpi a livello worldwide, nel 2010 sono "oltre 13 milioni le tracce disponibili negli store digitali ed oltre 400 le piattaforme che vendono musica online in tutto il mondo. I ricavi derivanti dalla musica digitale sono stati pari a 4,6 miliardi di dollari con un +6%. Globalmente in 6 anni, il mercato della musica online è cresciuto del 1.000%. A scattare questa fotografia è la Fimi, Federazione Industria Musicale Italiana.

"Nonostante le difficoltà e le resistenze culturali ed infrastrutturali, legate soprattutto alla mancanza di un'agenda digitale seria e di lungo periodo", l'industria musicale italiana ha creduto ed investito nella musica digitale ed oggi, "nei primi nove mesi del 2011, la quota di mercato ha raggiunto il 23% con un fatturato di quasi 19 milioni di euro ed una crescita, rispetto allo stesso periodo dall'anno precedente, del 17%".

I segnali sono "forti ed incoraggianti, le vendite digitali, che inizialmente riguardavo solo la top ten della classifica ufficiale, si sono spostate verso gli album ed hanno coinvolto anche il catalogo, non solo le new hit". Recentemente Fimi ha unificato la classifica ufficiale Gfk Album, considerando anche i download e non solo le vendite del prodotto fisico, questo per dare "un segnale importante alle tendenze del mercato".

"Cresce il download, crescono anche i ricavi basati sulla pubblicità, ovvero Youtube che, secondo gli ultimi dati Deloitte, sono aumentati del 39%. Molto è ancora da fare", l'Italia, che si è sempre collocata come mercato discografico nei primi 10 Paesi al mondo (nel fisico è l'ottavo mercato), per il digitale "si colloca solo al 16° posto".

Si sono riscaldati nei box durante l’estate, il periodo di preparazione è stato quasi parallelo, tutti hanno fatto giri di warm up a colpi di versioni beta ad invito. Ora i servizi cloud music di Apple, Google e Amazon si apprestano a confrontarsi in una gara all’ultimo byte. Questa notte è stata la volta di Google Music.

Nella cornice di un evento ufficiale, che ha avuto luogo presso i Mr. Brainwash’s Studios di Los Angeles, Digital Content Director di Google Jamie Rosenberg ha dichiarato chiusa la fase beta (100 milioni di brani scaricati in un’estate) e ufficializzato l’operatività di Google Music su tutto il territorio statunitense (funzionerà con qualsiasi dispositivo Android 2.2 o superiore).

Ogni utente avrà diritto a caricare sul cloud di Google Music fino a 20.000 brani (compresi quelli che ha già scaricato illegalmente), ai quali potrà in seguito accedere con qualsiasi dispositivo Android e, volendo, decidere di renderli disponibili anche offline. Superata quota 20.000, l’utente potrà acquistare brani scegliendo fra milioni di file presenti nel nuovo Google Music Store, o approfittare delle esclusive che alcuni artisti (gente del calibro di Pearl Jam e Rolling Stones) hanno già annunciato di voler rilasciare per la piattaforma di Google.

C’è chi ha pronti 6 dischi live inediti e li renderà disponibili solo per la nuova piattaforma (i Rolling Stones) e chi programma di pubblicare il prossimo disco esclusivamente su Google Music (Busta Rhymes). Ai singoli artisti (comprese le piccole band emergenti) sarà inoltre permesso di allestire, al costo di 25 dollari, un proprio negozio personale (l’Artist Hub) e vendere i propri pezzi direttamente da YouTube.

Un altro dato interessante è la scelta di Google di integrare fin da subito il nuovo servizio con Google+. L’utente potrà condividere i brani presenti nel cloud con tutte le cerchie di contatti. Quelli che a loro volta avranno l’utente in una cerchia potranno ascoltare gratuitamente l’intero pezzo, a tutti gli altri sarà concessa una preview di 90 secondi.

Nei piani iniziali di Mountain View, una volta uscito dalla fase beta il servizio sarebbe stato offerto a pagamento. Ma nell’ultima settimana l’atteso lancio di Google Music è stato bruciato sulla linea di partenza dall’uscita di iTunes Match, il servizio lanciato da Apple che ti condona fino a 25.000 brani per meno di 25 dollari all’anno. Risultato: Google Music continuerà ad essere gratuito.

Con questa mossa, Google si piazza in testa alla corsa, lasciando leggermente distaccato il servizio Apple (comunque vantaggioso per chi possiede i dispositivi con la mela) e lasciando il Cloud Drive di Amazon a farsi scorpacciate di polvere. Il servizio di Amazon, pur interessante, ha infatti il problema di non consentire di caricare automaticamente file non regolarmente acquistati da Amazon. Inoltre, allo stesso modo di iTune Match prevede un piano tarrifario che parte da un minimo di 20 dollari all’anno.

Il lancio di questi nuovi servizi coincide con un periodo di significativa controtendenza, per quanto riguarda la musica digitale. Mentre servizi di streaming come Spotify si espandono in nuovi paesi, per la prima volta si registra una frenata della pirateria a strascico che negli ultimi anni aveva segato le gambe dell’industria discografica. Non solo, le stesse industrie discografiche che hanno reso possibile l’offerta di Google Music (EMI, Sony, etc.) hanno iniziato a registrare un nuovo aumento delle vendite. Il mercato della musica digitale sta attraversando un periodo d’oro, basti pensare che negli ultimi 5 anni è cresciuto del 1000%, arrivando a toccare quota 4,6 miliardi di dollari (dati Ifpi).


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luglio 30, 2011

500 Anniversario della nascita di Giorgio Vassari.
Giorgio Vasari (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574) è stato un pittore, architetto e storico dell'arte italiano. Fu fortemente influenzato da Michelangelo e da Andrea del Sarto.

La sua formazione artistica fu composita, basata sul primo manierismo, su Michelangelo, su Raffaello e sulla cultura veneta. Come architetto fu la figura chiave delle iniziative promosse da Cosimo I de' Medici, contribuendo, grazie anche alla protezione di Sforza Almeni, a grandi cantieri a Firenze e in Toscana, tra cui spiccano la costruzione degli Uffizi, la ristrutturazione di Palazzo Vecchio e molto altro.

La fama maggiore del Vasari oggi è legata al trattato delle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, pubblicato nel 1550 e riedito con aggiunte nel 1568. L'opera, preceduta da un'introduzione di natura tecnica e storico-critica sulle tre arti maggiori (architettura, scultura e pittura) è una vera e propria pietra miliare della storiografia artistica, punto di partenza tutt'oggi imprescindibile per lo studio della vita e delle opere dei più di 160 artisti descritti.

La prima edizione, pubblicata a Firenze dall'editore ducale Lorenzo Torrentino nel 1550 e dedicata al granduca Cosimo I de' Medici, includeva un prezioso trattato sui metodi tecnici impiegati nelle varie arti. Fu in parte riscritto e arricchito nel 1568, con l'aggiunta di xilografie di ritratti degli artisti, taluni ipotetici. La prima edizione si presentava più corposa e più artistica della seconda edizione giuntina. Quest'ultima, con l'aggiunta di integrazioni e di correzioni, risulta più piatta, ma è anche quella che ha riscosso più successo e diffusione, con le sue 18 edizioni italiane ed 8 traduzioni straniere, a fronte di una sola edizione dell'opera originaria.

Un proemio introduce ognuna delle tre parti. Descrive vite ed opere degli artisti da Cimabue in poi, sostenendo che solo gli artisti fiorentini hanno fatto rinascere l'arte dal buio del Medioevo, talvolta esponendo idee per partito preso. Si può comunque dire che Vasari con quest'opera è stato l'iniziatore della critica artistica e molti artisti toscani devono la loro celebrità internazionale all'opera di valorizzazione e divulgazione da lui iniziata, molto prima che si cominciassero a studiare altre scuole, seppur altrettanto importanti (come la scuola romana del Duecento, la pittura dell'Italia settentrionale del Quattro e Cinquecento), ma tutt'oggi sconosciute al pubblico non specializzato.

Come primo storico dell'arte italiana iniziò il genere, tuttora in voga, dell'enciclopedia di biografie artistiche. Vasari coniò il termine "Rinascita", sebbene una consapevolezza del fenomeno artistico che stava avvenendo era già nell'aria sin dai tempi di Leon Battista Alberti.
Come pittore la sua formazione iniziò ad Arezzo nella bottega di Guglielmo di Marcillat, pittore di vetrate francese di buon talento, in seguito, grazie al cardinale Silvio Passerini, forse intorno al 1524, si trasferì giovanissimo a Firenze, dove ebbe modo di frequentare Michelangelo e in seguito Andrea del Sarto e Baccio Bandinelli, che gli fornirono strumenti essenziali, quali la perizia disegnativa e la capacità di composizione prospettica. Le esperienze si arricchirono per il giovane artista, frequentando il Rosso Fiorentino ad Arezzo e a Firenze con Francesco Salviati, con il quale creò un sodalizio artistico e col quale fu a Roma nel 1531-1536 per studiare le antichità e le opere di Raffaello e Michelangelo. L'incontro con il Rosso fu fecondo di nuove esperienze pittoriche soprattutto nel colorismo drammatico e nella capacità di composizione che si rivelano nel Cristo portato al Sepolcro del 1532, oggi nella Collezione di Casa Vasari, che dipende dalla Deposizione del Rosso (1528) a S. Sepolcro.

Così ebbe importanza la capacità disegnativa nel fare le figure del Bandinelli e del Salviati. Seppure di qualche capacità inventiva e di grande erudizione, la sua pittura non è particolarmente originale o di eccelsa qualità: denota prestezza nel fare (gli venne rimproverata anche da Michelangelo negli affreschi della Sala dei Cento Giorni alla Cancelleria, terminata nel 46), tendenza alla ripetizione di figure, gesti, posizioni, carattere scenografico nelle architetture, complicazione di significati, tendenza più alla narrazione che all'espressione, ma senza particolare pathos o inventiva.

Può essere considerato fra i maggiori manieristi tosco-romani e in questo ebbe particolare influenza a Venezia, dove si recò nel 1541 per realizzare l'allestimento teatrale della Talanta di Pietro Aretino. In questa attività di scenografo e architetto teatrale operò intensamente a Firenze dal 1536 al 1565; un'esperienza particolarmente importante che ha tracce nella sua pittura (ad esempio a Roma nella Sala dei Cento Giorni del 1542-46 e nella Sala Regia in Vaticano nel 1572), ma anche in quella dei suoi collaboratori, come Livio Agresti.
Fra le sue opere di maggior pregio su tavola va considerata la Cena di S. Gregorio del 1540 nella Pinacoteca Nazionale di Bologna per il Refettorio di S. Michele in Bosco della città. Caratteristica del suo essere artista è il fare cortigiano e imprenditoriale che lo portò ad avere grandi commissioni a Firenze, Roma, Napoli, Bologna, Venezia. Fra i suoi collaboratori, molto attivo e di un qualche talento fu Cristofano Gherardi.

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luglio 24, 2011

Ci sono voluti 6 anni ma la riapertura del Bolshoi, il mitico teatro moscovita, è vicina.
Bolshoi, quasi tutto è pronto. Si riapre a fine ottobre.

Ci sono voluti 6 anni ma la riapertura del Bolshoi, il mitico teatro moscovita, è vicina.

Il media-tour organizzato dai curatori del restauro mostra che i lavori sono quasi ultimati: "Al 99 per cento", dice Mikhail Sidorov di Summa Capital, l'azienda che ha svolto il remaquillage da 700 milioni. Il teatro è già in grado di ospitare prove degli spettacoli.

A partire dal 28 ottobre (giorno della riapertura, che avverrà in pompa magna, davanti al presidente Medvedev): tornerà nell'elite della cultura mondiale.

Costruito a partire dal 1824, ma assurto al massimo splendore nell'Ottocento, il Bolshoi è stata una delle più illustri vittime della rovina del primo post-comunismo.

Chiuso dal 2005 per restauri, si sarebbe dovuto riaprire nel 2008, ma il progressivo levitare dei costi, tra burocrazia e corruzione, hanno provocato ripetuti slittamenti. L'interno stato riportato agli splendori della sua versione "top", quella del 1856, quando il Bolshoi venne ricostruito dopo un incendio.

Anche l'acustica, per migliorare, è tornata al passato: un piano "extra" introdotto tra palco e platea in era comunista è stato rimosso. Dopo la giornata di gala, cui prenderà in parte anche l'orchestra della Scala diretta da Barenboim, si comincia il 2 novembre, con Ruslan e Lyudmila, classica opera di Glinka.

Il Bolshoi è un teatro di Mosca, Russia, in cui vengono allestiti balletti, opere e spettacoli teatrali: il teatro inoltre è associato anche con una compagnia di danza, la Bolshoi Ballet. Il teatro è uno dei più celebri e blasonati templi del balletto classico mondiale.

L'edificio venne costruito nel 1824 su disegno dell'architetto Andrei Mikhailov, per sostituire il teatro Petrovka, distrutto dal fuoco nel 1805. Il nuovo teatro venne inaugurato il 18 gennaio 1825 con il balletto Cendrillon di Fernando Sor.

Fino a circa il 1840 il teatro presentava unicamente opere russe. el 1853 un incendio causò gravi danni alla struttura, che fu riaperta nel 1856.
Il teatro è raffigurato sulla banconota da 100 rubli.

Immagini del restauro:














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