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settembre 22, 2010

Le cardiochirurgie sono troppe, i malati pochi e c'è chi avanza sospetti. Ma in molte regioni mancano gli strumenti di controllo.

Finire sotto i ferri per un intervento al cuore senza averne bisogno, essere operati da sani, o da malati non proprio gravi.

Fra le possibili preoccupazioni di un paziente è una delle ultime, tanto che, nella miriade di segnalazioni di presunti errori medici che giungono al Tribunale per i diritti del malato, non se ne trova traccia.

Ma questo è il sospetto che ha portato un prelato di Vigevano a denunciare il primario di cardiochirurgia dell'ospedale Humanitas di Rozzano, Roberto Gallotti, e la procura di Milano ad avviare un'indagine ipotizzando lesioni volontarie in questo e in altri casi.

A breve il pm Maurizio Romanelli deciderà se ci sono elementi per chiedere un rinvio a giudizio, ed eventualmente con quali capi d'imputazione. Ma questa vicenda, su cui ha riacceso i riflettori Striscia la notizia, suscita interrogativi che vanno oltre l'inchiesta.

Lo scenario è quello di una specie di mondo alla rovescia dove la pressione a operare, così da ottenere i rimborsi delle prestazioni dalla regione e giustificare l'esistenza di reparti cardiochirurgici, è tanto forte da far passare in secondo piano ciò che è meglio per la salute del paziente.

Da un punto di vista scientifico gli specialisti interpellati da Panorama sottolineano che, come in tutte le branche della medicina, esistono in cardiochirurgia zone d'incertezza in cui la decisione se operare o no dipende da fattori complessi. Basta un'interpretazione leggermente diversa degli esami o dei sintomi e la bilancia pende a favore di una decisione o del suo opposto.
È lo sfondo in cui queste scelte avvengono a essere preoccupante. «Oggi non abbiamo un sistema di cura, ma di prestazioni. E il ricatto "perché non operi?" esiste ovunque» riconosce un cardiochirurgo che non vuole essere identificato.

In Lombardia, per esempio, ci sono 21 centri di cardiochirurgia per 9 milioni di abitanti. Le statistiche suggeriscono che per soddisfare l'esigenza di interventi della popolazione ne basterebbe meno della metà: una per milione di abitanti. Nella parte sulle malattie cardiovascolari dell'ultimo piano sanitario regionale si afferma che le cardiochirurgie lombarde «risultano ora complessivamente superiori alle immediate necessità» e che è «obbligatorio non aprirne di nuove». Nonostante ciò, l'ospedale San Giuseppe, che ha cambiato di recente gestione, sembra aspirare a diventare un centro specializzato, come dichiara fin dal nuovo nome: Milanocuore-San Giuseppe.



Per sapere se si fanno troppi interventi o troppo pochi, gli strumenti ci sarebbero: in gergo si chiamano studi di appropriatezza. «Un gruppo di esperti ipotizza una serie di scenari clinici e, in base alle conoscenze disponibili, valuta in quali casi l'intervento deve essere effettuato. Poi si confrontano gli scenari teorici con quelli reali degli ospedali e si calcola se le indicazioni sono rispettate» spiega Aldo Maggioni, direttore del Centro studi Anmco, associazione dei cardiologi ospedalieri.

Analisi del genere sono state svolte una decina di anni fa, proprio in Lombardia, per i bypass aortocoronarici e le angioplastiche. Allora risultò che si operava poco e c'erano lunghe liste d'attesa. In dieci anni, però, la situazione si è ribaltata: le cardiochirurgie sono più che raddoppiate, le liste d'attesa azzerate e non si sa più se gli interventi sono troppi, pochi, o il giusto. Anche in altri settori è lecito domandarselo: gli interventi di angioplastica coronarica, di pertinenza della cardiologia interventistica, per esempio, sono aumentati del 30 per cento in tre anni, dal 2003 al 2005.

L'unica regione in cui esiste un registro pubblico degli interventi cardiochirurgici è l'Emilia-Romagna, che ha sei cardiochirurgie, quattro private e due pubbliche, per 4 milioni di abitanti. «Viene monitorata la mortalità per tutti gli interventi e si raccolgono le informazioni che consentono di valutare l'appropriatezza» spiega Roberto Grilli, direttore dell'Agenzia sanitaria regionale.

Tempo fa, per esempio, i dati evidenziarono tassi di mortalità troppo elevati in uno dei centri, cui fu subito chiesto di correre ai ripari (cosa che secondo i dati successivi è poi avvenuta). I dati raccolti e periodiche indagini a campione sulle cartelle cliniche consentono di valutare anche l'appropriatezza. «Ma finora non si sono evidenziati problemi» afferma Grilli. Si evitano così gli interventi inutili? «È più difficile che maturino le condizioni perché l'inappropriatezza diventi epidemica».

STENT A PIOGGIA.

Le cifre della cardiochirurgia
- In Italia si eseguono circa 55 mila interventi cardiochirurgici l'anno: per l'80 per cento si tratta di sostituzioni e riparazioni delle valvole cardiache e di bypass aortocoronarici. (Fonte Sicch)
- Nel 2005 si sono fatte in Italia oltre 250 mila coronarografie e circa 116 mila interventi di angioplastica coronarica, per la maggior parte inserimento di stent: nel 2003 erano stati 88 mila. (Fonte Gise)


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fonte: Panorama

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